Cilento “laboratorio” per i turismi “light”. Ambiente, ma anche reti di servizi

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turisti_turismoNell’area a Sud di Salerno, superata la Piana del Sele, esiste un “giacimento” territoriale particolarmente prezioso da vari punti di vista che – come spesso accade nelle regioni del Mezzogiorno – non è stato adeguatamente valorizzato. Si tratta dell’area vasta più o meno coincidente con il perimetro del Parco del Cilento e del Vallo di Diano; un’area di una bellezza stravolgente, che, al di là dei vari riconoscimenti a livello mondiale (Unesco), resta ancora una pietra preziosa rarissima, ma perennemente alla ricerca di una dimensione “glocale” in sintonia con le sue vocazioni. L’interazione con i circuiti dei turismi interni ed internazionali appare il prioritario percorso in grado di produrre effetti estesi sulla crescita sociale ed economica di un comprensorio alle prese con lo storico problema dell’isolamento infrastrutturale. Un isolamento che si è più volte tradotto in affannosa rincorsa alla “modernità” di un progetto mediante il quale mettere a sistema i punti di forza ed accantonando – almeno in parte – le non poche criticità.

Altri modelli operativi di successo legati alla valorizzazione di aree protette – in Italia ed all’estero – inducono a ritenere che il principale ostacolo alla crescita risieda nelle difficoltà di compiere il “salto di scala” sintetizzabile nella fase di riconoscimento da parte dei Comuni dell’entità/Parco (non solo e non tanto dal punto di vista amministrativo/istituzionale) come strumento di governance condivisa del territorio. Anche in questo caso i leaderismi localistici e la “perimetrazione” del consenso politico hanno fatto leva sulle identità municipali, perdendo quasi sempre di vista l’obiettivo finale di arrivare alla realizzazione di un “prodotto/territorio” attrattivo rispetto ai flussi di visitatori/turisti, ma, soprattutto, maggiormente vivibile per i residenti. Immaginare di “costruire” l’economia turistica quasi in “contrapposizione” con la domanda di vivibilità  e di crescita economica delle comunità locali, è una strada che non ha mai portato da nessuna parte. Eppure, questo “meccanismo” si è spesso ripetuto anche in altre località del Mezzogiorno e della Campania, generando disvalore ed inducendo le popolazioni ad adottare comportamenti ostativi che hanno decretato risultati assolutamente negativi.

Il turismo “light” e sostenibile.

E’ del tutto evidente che le politiche di sviluppo di quest’area della provincia di Salerno sono intrecciate con il raggiungimento di un maggiore equilibrio nelle relazioni tra i Comuni e tra gli stessi Comuni ed il Parco. Il filo conduttore della valorizzazione del patrimonio ambientale – inteso nella sua valenza più estesa – riporta in primo piano le “filiere asimmetriche” (Censis) e le dinamiche che possono esprimere le imprese coesive (Symbola/Unioncamere): imprese aperte al dialogo con il territorio; inclusive e non esclusive nella pianificazione e nella realizzazione delle proprie progettualità; fortemente motivate a mantenere un profilo identitario legato alle comunità nelle quali operano e, quindi, aperte a visioni gestionali che fanno perno sulla responsabilità sociale. Agricoltura, allevamento, multifunzionalità delle aziende del primario sono gli assi portanti dei nuovi turismi/“light”, leggeri perché attenti alla ricerca di una relazione poco mediata con la natura e l’ambiente; desiderosi di riscoprire i principi di una dieta alimentare il più possibile salutare (mediterranea) e, quindi, incardinata alla perfezione in uno stile di vita “green”. Turismi sani e leggeri da un lato; edilizia bio/compatibile e rigenerativa di un patrimonio enorme (e, purtroppo, in larga parte abbandonato a se stesso) nei piccoli centri urbani del Parco e nei campi, nei terreni, nelle campagne. Basti pensare alle tecniche secolari dei muretti a secco che delimitano i fondi agricoli, solo per fare un esempio. Manca – o è certamente ancora insufficiente – la capacità dei soggetti istituzionali di inquadrare queste ricchezze in una cornice, in un modello di sviluppo di area vasta con relativa governance operativa ed efficace perché normata senza appesantimenti burocratici.

Si procede, invece, spesso per slogan, per parole/chiave che svuotano il senso più autentico degli assi portanti di quella che non è solo la “Città del Parco”, e che può certamente candidarsi ad inserirsi tra gli smart/land più “intelligenti” ed attrattivi d’Europa e del mondo. A patto di superare alcune problematiche “esistenziali”: la carenza di accessi infrastrutturali funzionali e “veloci”; l’urgenza di realizzare di una rete di servizi (energia elettrica, acqua, internet etc etc etc) al passo con i tempi e, in primo luogo, riservare alla persona standard accettabili e capillarmente diffusi di assistenza sanitaria. Va, altresì, potenziato il circuito formativo di base: scuole, istituti tecnici che guardano all’agricoltura 4.0 ed ai turismi non generalisti rappresentano la maggiore risorsa per sconfiggere l’emigrazione giovanile.

Oltre la “Città del Parco”.

I copiosi finanziamenti ricevuti su due voci rilevanti – rete ecologica e beni culturali – hanno  prodotto nella pratica gestionale una frammentazione dell’azione degli Enti Locali. Ma il territorio in molti casi ha reagito “dal basso” fino a generare l’idea di una “rete invisibile” e persistente, connotando culturalmente e funzionalmente il concetto di “Città del Quarto Paesaggio”. Questa tipologia di “Città” è in realtà già esistente per effetto della “soggettività” forte dell’elemento naturale: la “Città del Quarto Paesaggio” si fa riconoscere da abitanti e viaggiatori che stabiliscono interazioni nuove o riposizionano quelle esistenti. L’ecologia “profonda” diventa il modello di riferimento che caratterizza la crescita dell’Area Vasta. Ma per sostenere strutturalmente questa idea di nuova/antica identità bisogna arrivare ad erogare servizi eccellenti ed efficaci alle imprese ed alle famiglie. Una nuova rete del welfare deve provare ad  imitare i Paesi del Nord Europa dove la “periferia” non è sinonimo di bassa istruzione o di difficoltà di accesso alla formazione; né il servizio sanitario esplica qualità inferiore alle altre zone della provincia e della regione. Per non parlare del tema cruciale della mobilità ancora “prigioniera” di logiche slegate da obiettivi strategici di ampia portata.

Ci sono ottimi ragioni per ritenere che, nonostante la “debolezza” politico/istituzionale, il territorio possiede la forza per esprimere vantaggi competitivi localizzati. Come? Attraverso un cambio di strategia: non solo insistendo su nuovi modelli di attrattori culturali e turistici – che possono compromettere funzionalità ecologiche importanti – ma investendo massicciamente su politiche di welfare di popolazione, standard sanitari qualitativamente più alti, istruzione e cultura, mobilità dedicata, assetto idrogeologico e prevenzione dei rischi. Sono queste le premesse di una nuova stagione di sviluppo di ampio respiro per un’area come il Cilento che di per sé si configura come valore aggiunto non solo della provincia di Salerno, ma della Campania e dell’intero Mezzogiorno.

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