La GroKo al governo della Germania: un preludio per l’Italia? (di Cosimo Risi)

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La GroKo sta per larga coalizione ed è quella che in Germania stanno riproponendo l’accoppiata CDU – CSU (i due partiti cristiano – democratici) e la SPD (la vecchia socialdemocrazia). Ci sono voluti mesi dalle elezioni di settembre e le pressioni (inusitate per la prassi tedesca) del Capo dello Stato, il socialdemocratico Steinmeier, perché Angela Merkel e Martin Schulz giungessero al pre-accordo di questi giorni. Perché di pre-accordo si tratta, e cioè la convergenza sulle grandi linee della rinnovata collaborazione.

Il testo andrà approvato dalle rispettive basi e, in caso positivo, trasferito nel contratto di coalizione. Stando ai precedenti, il contratto sarà lungo decine di pagine e contemplerà centinaia di passaggi: un testo che più causidico non si può, ma si sa che la Germania è la patria del diritto pubblico.

Nel frattempo si intreccerà il negoziato sui posti di governo (sulle poltrone, per dirla all’italiana). La trattativa vedrà Merkel alla Cancelleria e Schulz  suo vice, non si sa se nella posizione di Ministro degli Esteri (come, prima di lui, Steinmeier e Gabriel) o in quella di Ministro delle Finanze. Nel pre-accordo ciascuno dei tre partiti lascia qualcosa per prendere qualcosa d’altro. La trama comune è l’europeismo.

Questa parola negletta del vocabolario politico – chi la pronuncia è destinato a perdere consensi – è recuperata dalla Germania grazie soprattutto a Schulz. Il quale evidentemente ricorda la lunga presenza al Parlamento europeo come Presidente e come candidato alla Presidenza della Commissione per conto dei socialisti e democratici (compreso il nostro PD).

L’europeismo può essere una sigla dietro cui celare comportamenti poco se non anti- europei. Europeista si dichiara l’Austria del giovane nuovo Cancelliere. Europeisti (delle nazioni) si dichiarano i dirigenti del Gruppo di Visegrad, nessuno dei quali oserebbe porsi fuori dall’Unione sulla scia di Brexit.  Fuori  non ci sta il conforto della politica strutturale europea, nella bilancia dei costi – benefici l’esempio britannico sarebbe dannoso all’interesse nazionale.

E d’altronde l’orgoglioso Regno Unito del “meglio soli” sta pagando il prezzo della libertà con le fughe dalla City e le modeste prestazioni economiche. Persino il vanto della diplomazia britannica, il rapporto speciale cogli Stati Uniti, è finito nel vortice dei tweet a firma Trump.

L’ultimo declama che il Presidente non inaugurerà la nuova Ambasciata USA a Londra: brutta, costosa, ordinata da Obama (in realtà commissionata da Bush). La verità cruda è che Trump non sarebbe accolto a Buckingham Palace cogli onori che ritiene di meritare. Niente Londra per il Presidente e musi lunghi a Downing Street: se pure l’amico americano prende le distanze…

Macron continua a tessere la tela europeistica. Aspetta l’esito del negoziato in Germania per fare ripartire l’asse franco – tedesco per la riforma d’Europa. Gentiloni si congratula con Merkel e Schulz e riceve Macron, col quale stabilisce di firmare il Patto del Quirinale.

Il Patto del Quirinale dovrebbe somigliare al Patto dell’Eliseo che, firmato a suo tempo da Adenauer e de Gaulle, sarà rinnovato da Macron e Merkel per consolidare la compenetrazione fra i due paesi. Lo stesso accadrebbe fra Italia e Francia col Patto del Quirinale.

La convergenza politica è ovvia nel quadro europeo. La convergenza industriale e nel campo della ricerca è meno scontata: si pensi alle diatribe su telecomunicazioni, cantieristica, banche.  Il Patto  darebbe slancio a tutta la cooperazione bilaterale.

La regia della BCE ha giovato alla ripresa europea dopo gli anni bui della crisi. Ha ristabilito il senso del progresso, che è possibile soltanto in seno all’Unione ed alla zona euro. Al di fuori dell’Unione fa freddo e non tutti hanno il riscaldamento in casa.

di Cosimo Risi

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