La politica europea e i flussi migratori (di Cosimo Risi)

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Sembrava che agli esordi del Governo Conte suonasse solo la voce del Vice Presidente e Ministro dell’Interno. Questi interveniva su tutta l’azione governativa, dal campo proprio del Viminale a campi di altri dicasteri,  a rilevare che non di Vice Presidente si trattasse ma di Presidente facente funzione. L’accusa alla Tunisia di esportare galeotti, la richiesta di cancellare le sanzioni alla Russia, l’introduzione della imposta piatta, i margini di flessibilità per il deficit di bilancio.

Un’attività a tutto campo che polarizzava l’opinione pubblica, in larga misura plaudente, ma sconcertava le cancellerie europee. Persino i russi, che pure avevano da trarre beneficio da quelle dichiarazioni, mostravano prudenza. Un portavoce del Cremlino commentava anodino: stiamo a vedere.

Mosca sa che  a Bruxelles  il processo di levata delle sanzioni è oggetto di negoziato: un negoziato simmetrico a quello d’introduzione delle stesse, e dunque idoneo a far emergere contrasti fra gli stati membri dell’Unione e con gli Stati Uniti.

Il turbine declaratorio raggiunge l’apice con la incresciosa polemica con la Francia. In quel caso il solito portavoce, di En Marche! e non dell’Eliseo, si lascia andare a commenti poco commendevoli nei confronti dell’Italia. E dire che la Francia sta giocando i mondiali di calcio e l’Italia no.

Il nostro orgoglio nazionale offeso porta altri consensi alle posizioni dure e pure. Non siamo arrivati a minacciare sfracelli giusto perché siamo ghiotti di champagne e Parigi val bene una messa. Che non si sa cosa significhi, ma suona bene.

L’invito di Conte all’Eliseo chiude la polemica. Che anzi pare mai scoppiata, tale è la familiarità apparente fra i due personaggi. Lo scambio di sorrisi  è d’uopo nei vertici europei. Come darsi del “tu” e chiamarsi per nome. Occorre esibire bonomia, cordialità, amicizia.

L’occhio della telecamera è impietoso e qualsiasi corrugare della fronte verrebbe riprodotto a iosa a segnalare un dissenso, peggio ancora un contrasto. La colazione di lavoro, ci informa la stampa, dura un paio d’ore, pur contando un paio di portate, e consente agli interlocutori di conoscersi meglio di quanto abbiano fatto al G7 in Canada e nelle telefonate.

Pesa la notazione di Macron: il caso migranti è troppo serio e di portata troppo strategica per essere trattato dai Ministri di settore, spetta ai capi di stato o di governo dirimere la questione in seno al Consiglio europeo. Il Presidente Tusk lo convoca a fine giugno a Bruxelles inserendo in agenda il tema migratorio, dalla gestione dei flussi alla riforma del sistema di Dublino.

Il Ministro degli Esteri dice la sua nell’intervista al Corriere della sera che, dopo le dichiarazioni del Ministro dell’Economia, sembra farsi portavoce della coscienza europeistica del Governo Conte. O comunque valorizza gli spunti di quanti al suo interno si pongono nel corso principale del pensiero italiano.

Non si dimentichi che siamo fra i sei stati membri fondatori e che nostri sodali, addirittura dal 1951 del Trattato CECA, sono Francia e Germania oltre al Benelux. Moavero Milanesi alle origini del processo si riferisce quando sostiene: allora fu possibile mettere d’accordo paesi che si erano combattuti strenuamente nel corso di mezzo secolo, ora è possibile mettere d’accordo paesi che la vedono diversamente sulle migrazioni.

L’Italia prova a tornare nell’ortodossia riguardo alle funzioni dei singoli responsabili politici ed al rispetto delle regole europee. La prima delle quali è l’obbligo delle parti di trovare un accordo. A meno che si non voglia rompere il giocattolo. Finora ci ha provato il Regno Unito, con l’esito infelice che sta già scontando. Non ripetiamo l’errore.

di Cosimo Risi

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