War Games: il dito di Trump non pigia il bottone (di Cosimo Risi)

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A credere al tweet del Presidente Trump, siamo stati ad un passo dalla nuova Guerra del Golfo (sul numero di queste guerre torniamo appresso). Dieci minuti o mezz’ora prima dell’attacco, le versioni divergono secondo i comunicati stampa, egli avrebbe bloccato la procedura. Il motivo: la reazione sarebbe stata sproporzionata.

Nelle stime del Pentagono, i bombardamenti avrebbero provocato 150 vittime, sul numero vi è convergenza e non si capisce il perché di tale precisione, come ritorsione per l’abbattimento da parte iraniana  di un drone americano senza pilota.

Il Presidente rassicura che il dispositivo militare è allerta, pronto a colpire in caso di altre provocazioni iraniane, ma per il momento il bottone fatale non viene pigiato. Teheran replica di non volere la guerra con chicchessia e men che mai con Washington, è tuttavia pronta a rispondere agli attacchi. Sottinteso: l’Iran non è l’Iraq.

L’allusione va appunto all’Iraq, teatro di due guerre del Golfo ad opera di Bush Padre  e Bush Figlio: la prima costrinse Saddam Hussein a ritirarsi dall’occupato Kuwait, la seconda portò alla fine dello stesso Saddam ed allo smembramento del paese. La prima Guerra del Golfo risale agli anni 80 e fu combattuta da Iraq e Iran, durò quasi un decennio, produsse una scia di vittime ed il sostanziale stallo fra le parti.

Dalle tre Guerre del Golfo si può trarre il crudo bilancio che producono disastri inenarrabili e nessun risultato concreto sul campo. Sono conflitti inutili.

Questa considerazione avrebbe indotto Trump a ripensarci, dopo che egli stesso aveva ordinato ai militari di preparare il piano d’attacco.

Il Presidente non è nuovo al dietrofront dell’ultimo minuto, ama pubblicizzarlo a mostrare quanto  in fondo voglia la pace e non la guerra. E’ il seguace non dichiarato del motto latino “se vuoi la pace, prepara la guerra”. E cioè: esibisci la faccia feroce al regime di turno (Maduro in Venezuela, Kim in Nord Corea, Khamenei in Iran) per indurlo ad accettare una trattativa al ribasso delle pretese iniziali. La minaccia militare come deterrente e non come azione.

Attraverso lo Stretto di Hormuz navigano le petroliere con il “nostro” petrolio, sopra lo Stretto volano i “nostri” aerei diretti in Asia. Navi e velivoli possono cambiare rotta, resta l’immenso rischio cui l’Europa è confrontata senza che possa porre una domanda se non una riserva.

La distanza fra i rischi reali e il dibattito europeo ha del surreale. E d’altronde Bruxelles ospita il Museo del surrealista René Magritte.  Mentre Trump guardava il bottone, i leader europei tiravano tardi davanti ad una birra a discutere delle nomine ai vertici delle istituzioni. La guerra delle caselle è determinante per gli equilibri futuri, le valutazioni andrebbero condotte alla luce della strategia da assegnare all’Unione rinnovata.

L’Unione non si misura soltanto alla stregua delle procedure di bilancio ma anche e soprattutto della sua proiezione esterna. E’ vitale in quanto viene riconosciuta da attore globale al pari degli altri, altrimenti si  condanna al cabotaggio domestico.

Alicia Giménez – Bartlett, la scrittrice catalana, sostiene che il romanzo noir è il solo idoneo a descrivere la complessità contemporanea. Prima di lei Joseph Conrad, l’autore anglo – polacco, scrisse il grande racconto della globalizzazione prima che la parola divenisse di moda. I suoi Europei in balia degli eventi fra Africa e Asia sembrano gli archetipi degli Europei di oggi quando si misurano con le relazioni esterne.

Cosimo Risi

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