Il caffè, un rito italiano che può diventare patrimonio Unesco (di Tony Ardito)

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Il Gruppo di Lavoro Unesco del Ministero delle Politiche Agricole ha espresso all’unanimità parere favorevole alla iscrizione del “caffè espresso italiano tradizionale” nell’inventario nazionale del patrimonio agroalimentare italiano (Inpai).

Un rito che, dunque, si appresta finalmente a divenire patrimonio immateriale dell’umanità Unesco. La richiesta è riassunta in tre semplici e potenti parole: Espresso, Italiano, Tradizionale.

Decisamente una buona notizia, tanto più in vista della valutazione della Commissione Nazionale Unesco, passaggio centrale nell’iter della candidatura la quale, se fosse sostenuta e giungesse poi all’ambito traguardo, genererebbe significativi benefici a tutta la filiera e all’Industria del caffè espresso in Italia nonché, in termini di immagine, e non solo, per l’intero Paese.

La proposta della indiscutibile eccellenza nostrana è stata presentata alla Commissione nel 2015 e nel 2019 è approdata alla Camera con il Consorzio Tutela del Caffè Espresso Italiano Tradizionale. Grazie al Gruppo di Lavoro ministeriale, proprio in questi giorni, è stata impressa una importante accelerazione.

In Italia vi sono 800 torrefazioni, 7 mila addetti. Nel 2018 i consumi segnavano un +5,3%. In una graduatoria, la bevanda è seconda solo all’acqua. Il 98% degli italiani beve l’espresso.

Il caffè è considerato ormai più che una tradizione. È un’abitudine talmente radicata che sembra appartenerci da sempre. Il suo rito è un’usanza consolidata tanto nelle case quanto negli ambienti di lavoro, è un momento di piacere per chi ama sorseggiarlo in solitudine e relax, magari davanti ad un buon libro o al giornale del mattino, ma è soprattutto il pretesto per una chiacchierata in leggerezza, un momento di pausa, condivisione e socializzazione.

In particolar modo per noi campani, per taluni aspetti, probabilmente più di sua maestà, la pizza, il tutto assume connotazioni oltre che storico-culturali e identitarie, persino filosofiche.

Evocando, quindi, Luciano De Crescenzo: “Una volta a Napoli, nel quartiere Sanità, quando uno era allegro perché qualcosa gli era andata bene, invece di pagare solo un caffè ne pagava due e lasciava il secondo caffè, quello già pagato, per il prossimo cliente. Il gesto si chiamava “caffè sospeso” … Era un modo come un altro per offrire un caffè all’Umanità”.

Tony Ardito

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