E’ sufficiente lo sport in costituzione? (di Giuseppe Fauceglia)

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Sembrava un’utopia quella che nel 2020 aveva spinto alcuni parlamentari, che hanno lo sport nel cuore, di tentare l’inserimento dell’attività sportiva e dei suoi valori nella nostra Carta Costituzionale. A differenza di altre Nazioni (tra tutte: Spagna, Portogallo, Grecia, Svizzera, Romania, Polonia, Bulgaria), in Italia questo riconoscimento non era presente, forse perché nel 1947 l’Assemblea costituente voleva tracciare una discontinuità con un periodo storico in cui l’’interpretazione distorta dello sport lo aveva fatto assurgere ad elemento di pura propaganda, se non di divisione (come non ricordare la retorica dell’Opera Nazionale Balilla).

Il Parlamento, finalmente, qualche giorno fa ha, con voto unanime. inserito nell’art. 33 della Costituzione il seguente comma: “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”.

Sono valori che si possono riscontrare in qualsiasi luogo lo sport venga praticato, in ogni comunità e con riferimento a tutti quegli strumenti di inclusione che restano idonei a fondare una convivenza civile. Quando penso alla norma costituzionale non evoco strapagati e bizzosi calciatori o ricchissimi piloti di Formula Uno, ma ai tanti sconosciuti giovanissimi che praticano le discipline sportive più diverse e, a volte, dimenticate, oppure agli adolescenti che solo per diletto vi si dedicano.

Mi chiedo, però, se la previsione dello sport nella Costituzione possa essere da sola sufficiente o se, invece, sia necessario anche l’intervento concreto degli Enti territoriali, che al precetto, nel suo valore educativo e sociale, dovrebbero dare concreta attuazione. Ed allora, non posso che volgere lo sguardo, purtroppo attonito e “sconsolato” a quanto accade nella nostra città.

Da decenni assistiamo allo scempio dello scheletro in cemento, ormai abbandonato alle sterpaglie, del tanto propagandato Palazzetto dello Sport, rimasto tale solo nella fantasia della Salerno “da bere”; oppure alla progressiva decadenza della Piscina Comunale, dedicata all’indimenticabile Simone Vitale, che langue in attesa di significativi interventi di ristrutturazione e di adeguamento; oppure ai tanti campetti di calcio lasciati all’abbandono, che riportano alla mia mente le partite da adolescente sul campo “Macchie” di Aquara, un vero e proprio tratturo con quattro pali a fare da porta; per non parlare del degrado del vecchio impianto sportivo del “Vestuti”, dove oggi solo l’entusiasmo di qualcuno può consentirne l’utilizzo per alcune attività. Nessun intervento, invece, si può registrare per diffondere la pratica sportiva, spesso affidata a circoli privati o ad iniziative imprenditoriali, in sé lodevoli, ma non idonee a surrogare l’intervento pubblico.

L’occasione mi consente di segnalare, oltre la singolare vicenda dello Stadio Arechi, in cui qualcuno vuole spendere fondi pubblici – che sono, poi, quelli di tutti noi – quando c’è un imprenditore privato che intende spenderne di propri a fronte di un (legittimo) diritto di concessione d’uso (che non priverebbe il Comune della proprietà dell’impianto), anche quella relativa al Campo Volpe, che nella fantasia di qualcuno dovrebbe essere traslato più s Sud. Nel progetto presentato, la collocazione di una parte degli spalti parrebbe ricadere in una zona di terreno oggetto di alienazione (e come tale riportata anche nell’attivo del bilancio del Comune, quale prezzo da ricevere per circa 7 milioni di euro). Posto che tutti desideriamo il rilancio del Volpe, si dovrebbe, però, preventivamente chiarire se resti ancora valida l’opzione della vendita, come prevista in ragione del decreto “Salva Città”, o se inserire nel programma di dismissione altri beni, se esistenti, di eguale valore di mercato (nel mentre, però, si assiste solo alla moltiplicazione di progetti inutili e costosi. per opere che, probabilmente, non saranno né iniziate, né, soprattutto, completate).

Per porre rimedio a simili dimenticanze, alle vere e proprie deficienze o alle singolari scelte di “spesa”, non occorre evocare Celestino V e la sua perdonanza oppure esaltarsi al grido “Salerno non si tocca, perché dei salernitani!”, considerato, a parte la vuota retorica, che tutti i salernitani vorrebbero una Salerno davvero europea, con opere pubbliche completate e non più una Città affidata alla sola “speculazione” privata.

Giuseppe Fauceglia  

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