La Regione Molise offre soldi a chi sposta la residenza

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I tanti che giudicano una castroneria il reddito di cittadinanza, soprattutto perché oggettivamente attenua la spinta a cercarsi un lavoro, hanno ora l’ennesimo strumento assistenziale per mettere alla prova i propri nervi, già decisamente logorati dalla “creatività” della politica contemporanea. La novità, o presunta tale, si chiama “reddito di residenza attiva” (non è chiaro quale sia quella passiva): grazie ad un bando pubblico della Regione Molise, che ogni tanto prova a farsi notare principalmente per archetipi del genere, questo “storico” parto si concretizzerà il prossimo 16 settembre nella più piccola regione del nostro Mezzogiorno.

Di cosa si tratta? In sostanza il “Babbo Natale molisano” offre 700 euro al mese per tre anni a chi è disponibile a trasferire la residenza in un paese delle province di Campobasso o Isernia con meno di duemila abitanti e gestire un’attività commerciale per almeno cinque anni. L’auspicio di questo “dono istituzionale”?  Ripopolare i paesi-fantasma, che sono tantissimi.

In realtà, dal momento che è previsto uno stanziamento complessivo di un milione di euro in due anni (fondo del ministero dello Sviluppo, soldi di tutti noi, insomma), i beneficiari saranno appena una quarantina. E non è chiaro come, con questi numeri, si riuscirà ad invertire un trend di spopolamento che appare irreversibile per l’intero Molise.  Davvero quaranta beneficiari da distribuire in oltre cento comuni potranno fare la differenza?

La platea dei paesi, tra l’altro, è decisamente ampia. E ciò non è una buona notizia. Sono ben 105 – sui 136 comuni totali del Molise – quelli con meno di duemila residenti. Del resto l’intero Molise è ridotto a 304mila residenti (e molti vivono fuori regione), praticamente un quartiere di Roma. Ci sono più abitanti su via Tuscolana nella Capitale che in tutta la provincia di Isernia. E ci sarà un motivo perché tanti molisani scappano dalla propria terra, povera di opportunità, e mettono le case in vendita, anzi in svendita: attualmente sono oltre 120 le abitazioni in vendita nel solo comune di Capracotta, che ha 850 residenti. E non si trovano acquirenti, nonostante il posto sia paesaggisticamente suggestivo.

La costosa iniziativa (non sarebbe stato meglio prevedere sgravi per assunzioni o azioni di promozione delle tipicità locali?) rischia addirittura di rivelarsi un boomerang. Una lunga serie di ragioni contrarie si possono trovare sui social, dove sono gli stessi molisani a sommergere di critiche la novità.

A prendersela a male sono innanzitutto gli attuali residenti del Molise, in particolare quelli che gestiscono piccole attività nei paesi. Oltre a dover “resistere” a furia di sacrifici, tra tasse, servizi spesso scadenti e clientela sempre meno numerosa, vedono ora anche il rischio di una possibile concorrenza “calata dall’alto”. Pure i loro concittadini non sono contenti. Si domandano perché garantire uno stipendio ad un “forestiero” mentre a loro la Regione offre spesso servizi da terzo mondo. Non è poi chiaro come il fruitore del “regalo istituzionale” possa non solo sopravvivere con appena 700 euro al mese tra logistica e tasse, ma provare a crearsi addirittura un business in un borgo di cinquecento anime, in genere totalmente estraneo ai flussi turistici (il Molise è l’ultima regione in Europa per presenze turistiche). La possibilità più concreta è che la residenza – come già avviene per ragioni fiscali – si confermi concetto molto flessibile.

Un’altra critica indica, nel provvedimento, il rafforzamento dei pregiudizi verso la terra molisana. In sostanza il pagamento è a fronte di una sorta di “penitenza”: ti diamo soldi perché siamo coscienti che vivere in un paesetto isolato di questa terra montuosa, dal clima rigido, con pessime infrastrutture, può costituire un sacrificio. Le bellezze paesaggistiche e storiche di questo territorio, le tipicità dell’agricoltura, i millenari tratturi e gli ultimi prodotti dell’artigianato, passa tutto in secondo piano. Anzi, si squalifica di fronte a scelte d’interesse più che affettive. Perché le domande arriveranno a fiumi, ma per lo più da mittenti disperati.

Tutta la questione, dal sapore vagamente provinciale, è in realtà ascrivibile a fenomeni di mobilità ormai globali, che permettono ad un essere umano di scegliersi il contesto più ricco di opportunità. I nuclei urbani, per quanto caotici, continuano a rappresentare una convenienza, se non una necessità. Non a caso, secondo dati Istat, dal 1971 al 2015 ben 115 comuni italiani, per lo più in zone d’alta quota e impervie, hanno visto un esodo dei residenti superiore al 60 per cento.

L’iniziativa molisana, tra l’altro, non rappresenta una novità. Per arginare lo svuotamento, diverse amministrazioni locali in tutta Italia hanno provato a mettere in campo, con coraggio, idee e provvedimenti. Ad esempio, l’offerta di case abbandonate a costi irrisori. O incentivi economici per il trasferimento. O ancora bonus per le nascite. Purtroppo il più delle volte queste queste romantiche iniziative – il Molise avrebbe dovuto imparare da ciò – non hanno frenato l’emorragia demografica.

Ad esempio, Gangi, in Sicilia, che è stata antesignana, nell’ormai lontano 2009 ha iniziato a vendere case a prezzi esigui, con l’obbligo per i neoproprietari di ristrutturare le abitazioni entro tre anni dall’acquisto. Un palliativo contro il dissanguamento migratorio. Se dieci anni fa il comune aveva circa 7.200 residenti, oggi è a quota 6.500. Un dieci per cento in meno.

A Sambuca, sempre in Sicilia, dove è stato adottato un analogo provvedimento, il numero dei residenti è passato dai 6.114 dell’ultimo censimento (2011) agli attuali 5.700 circa.

Meritori tentativi anche nel Nord. Chi prende la residenza a Locana, in Piemonte, può ottenere fino a novemila euro nel corso di tre anni. Le condizioni? Avere almeno un bambino e un salario minimo di seimila euro. Però il paese continua a perdere abitanti: erano 1.601 nell’ultimo censimento (2011), ora sono 1.441.

I giornali si sono occupati anche del minuscolo Borgomezzavalle, provincia di Verbania, che vende cottage abbandonati ad un euro e fornisce un contributo economico ai nuovi arrivati che vogliano farsi una famiglia. Anche qui popolazione in calo: 335 residenti nel 2011, 314 oggi.

Altri esempi di iniziative: la ligure Bormida (dai 410 residenti nel 2011 ai 340 di oggi), la toscana Fabbriche di Vergemoli (da 820 a 813 nello stesso intervallo di tempo), la sarda Ollolai (da 1.373 a 1.263).

Il caso di Carrega, in provincia di Alessandria, è emblematico. Se ai tempi dell’unità d’Italia aveva 3.300 residenti, dimezzati nel dopoguerra, oggi è a quota 84, uno dei comuni d’Italia con minor densità di popolazione.

Recente la vicenda della lombarda Esino Lario, che ha simbolicamente “messo in vendita” il municipio per 200 mila euro.

Il più delle volte si tratta di paesi montani ricchi di fascino, che potrebbero ben adattarsi ad un professionista che opera in qualsiasi parte del mondo tramite un pc. Ma i potenziali nuovi residenti sono pochi e raramente riescono a controbilanciare l’inverno demografico che sarà sempre più rigido in tutto il nostro Paese. Se la montagna occupa il 50 per cento del territorio nazionale, ci vivono solo otto dei sessanta milioni di italiani. E il loro numero, nonostante tutto, continua a decrescere.

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